7. La società
7.1 Ombre e luci di una società
poli-centrica
7.2 Baricentro cercasi
7.3 Educare alla solidarietà
7.4 La “prassi della stupidità”
7.5 Occorre proporre nuovi rimedi
7.6 Bisogno di bellezza
Sono partito, nella mia riflessione, dalla famiglia, primo ambito nel quale sorge e si educa la vita umana, vorrei concludere con uno sguardo complessivo alla società nella quale si svolgono tutti i processi fin qui presi in esame.
7.1 Ombre e luci di una società poli-centrica
Per capire le nuove generazioni occorre coglierle
nel contesto della nostra società complessa, divenuta cioè sempre più complicata
e varia, composta da elementi di difficile valutazione, con equilibri precari
e instabili, con tendenze tra loro inconciliabili ed irriducibili.
Da un punto di vista temporale la nostra è una società dove prevale la centralità
del presente rispetto al passato e al futuro, quindi la provvisorietà, il
qui e l’ora del presente.
In altri momenti della storia prevalevano rispettivamente l’importanza del
passato, quindi il richiamo a una tradizione, a valori riconosciuti da conservare
o la tensione verso il futuro con una progettualità magari utopica, ma molto
coraggiosa ed innovativa. Oggi le nuove generazioni sembrano ammaliate dal
presente, per definizione effimero e provvisorio.
Da un punto di vista spaziale i sociologi rilevano che la nostra è una società
a-centrica o meglio poli-centrica, nella quale c’è la tendenza ad organizzare
l’esistenza attorno a una pluralità di centri di interesse: la famiglia,
gli amici, la scuola, il lavoro, la chiesa, il partito, il movimento d’opinione,
il tempo libero, l’interesse sportivo, ecc. I nostri ragazzi e giovani
hanno certamente molte più possibilità di altre generazioni di operare scelte.
Si pensi solo alle opportunità martellanti che vengono offerte dal navigare
via internet. Questa enorme dilatazione delle opportunità rappresenta certo
una grande risorsa rispetto al passato. Gli orizzonti dei nostri ragazzi
non conoscono le chiusure, le angustie, i localismi del passato. La conoscenza
di altre culture può aiutarci a vincere certi campanilismi presuntuosi e
ad imparare dall’esperienza altrui. La tolleranza e il dialogo possono esser
favoriti proprio dal vivere in una società poli-centrica. Al tempo stesso
non ci nascondiamo i rischi: potendo scegliere entro una offerta sterminata,
finiscono per rimandare le scelte definitive ed importanti, affidando la
loro realizzazione personale all’inseguimento di cento cose diverse. Di
qui la difficoltà a fare scelte qualificanti che impegnino l’intera esistenza.
7.2 Baricentro cercasi
Una diagnosi, formulata da Romano Guardini mi sembra ancor oggi illuminante:
“L’atteggiamento del nostro tempo è notevolmente scisso. Aperto a dismisura
e tuttavia insicuro e disperato. Ma entrambe le cose sono segno di debolezza.
Che sia così, appare dalla violenza che si esercita dappertutto. Violenza
è, nel più profondo, impotenza, perplessità, disperazione.
Quando l’uomo non sa più che pesci pigliare, esercita violenza: sulle cose,
abusandone; sui problemi, stabilendo parole d’ordine al posto di soluzioni;
sugli uomini, costringendoli, invece di convincerli” (R. Guardini, “Natura.
Cultura. Cristianesimo”).
Così la parolaccia, l’insulto, la violenza verbale, le scritte degli sprayer
- per stare ai segni più evidenti anche se non certo i più gravi - connotano
la nostra società in stato confusionale e condizionano i giovani a vivere
quello che gli psicologi chiamano un momento di “adolescenza interminabile”.
Giovani che sembrano non maturare mai. Prolungano per anni la loro crisi
di crescita, faticando a definirsi e a responsabilizzarsi.
La prima conseguenza della confusione è l’incertezza che spinge le nuove
generazioni a sentirsi in continua prova, sempre alla ricerca di nuove esperienze.
Non finiscono mai di provare in un continuo altalenante ondeggiare. Questo
rischia di creare una generazione di ragazzi “border line”, cioè di ragazzi
ai margini della società, con i loro gusti, gesti, linguaggi e mode che non
devono lasciare indifferenti o distratti.
Ci troviamo di fronte a qualcosa di più del solito passaggio adolescenziale
obbligato. Il sociologo Franco Garelli ritiene che ci sia tra i giovani di
oggi ed i loro genitori ed educatori una diversità più profonda e una differenza
ancora maggiore, che neanche quella vissuta dalla generazione dei sessantottini
verso la generazione precedente. Perché almeno tra i sessantottini e la precedente
generazione c’era in comune la ricerca e l’impegno per un orientamento di
vita tendenzialmente unitario. Entrambe le generazioni avevano un centro
su cui impostare il loro impegno, anche se quello dei figli era diverso da
quello dei padri. Oggi è la mancanza di un baricentro a rendere diverse le
nuove generazioni, le quali hanno troppe cose e possibilità materiali, ma
non sono abbastanza orientate ad “ESSERE”, a prendere responsabilità di fronte
alle scelte della vita, ad avere orientamenti coerenti. Il contesto “unitario”,
magari per contrasto, del precedente clima sociale-educativo, favoriva il
confronto e la contrapposizione. Oggi si resta smarriti. Di fronte alle tante
opportunità si smarriscono e si perdono i giovani, ma anche gli adulti si
defilano invece di impegnarsi.
7.3 Educare alla solidarietà
La confusione e l’incertezza finiscono per favorire il relativismo. Mi pare
un fatto inequivocabile che le nostre società moderne, molto tolleranti,
abbiano finito per provocare indifferenza verso i valori della vita, offrendo
quel clima di relativismo per cui tutto viene considerato dello stesso
valore.
Ma a lungo andare l’indifferenza verso i valori ed il relativismo di pensiero
e di giudizio finiscono per favorire addirittura comportamenti violenti perché
l’indifferenza diventa presto menefreghismo, emarginazione e finisce per
cancellare l’altro dai nostri orizzonti.
E’ importante educare a nuove forme di solidarietà. Il termine solidarietà
deriva da solido e solido è ciò che ha forma e volume costanti per coesione
delle sue parti. Che cosa rimane costante e può tenere assieme una persona,
fare coesione fra più persone, impedire che una vita o una società si autodistruggano?
Niente altro che ideali fondamentali e valori di base comuni.
La nostra società non può divenire preda del relativismo, ha bisogno di trovare
nuovi motivi, motivi comuni di solidarietà. Non si costruisce solidarietà
sugli egoismi, sugli interessi contrapposti, sulle discriminazioni, ma sui
valori. I nostri giovani chiedono valori sui quali costruire nuove solidarietà;
cercano senso, hanno bisogno di tornare a capire ciò che non è immediatamente
evidente e chiaro, perché non è più centrale ed importante.
Nella società complessa dobbiamo offrire occasioni e possibilità di incontro
e di dialogo, perché le nuove generazioni possano ritrovare senso. C’è bisogno
di ragionevolezza, mentre c’è in giro molta demagogia, estremismo e parzialità.
Occorre aiutare le nuove generazioni a maturare ragioni di vita. Avere tanti
mezzi non basta. Non bastano nemmeno i discorsi che fanno presa sul cuore;
i giovani hanno fame di perché, di motivi di vita.
I ragazzi per maturare e responsabilizzarsi hanno bisogno di compagni di
viaggio, di persone che condividono con loro la voglia di vivere e diano,
più che insegnamenti, una rigorosa testimonianza a favore della vita. A
contare non sono le molte esperienze, ma l’esperienza delle esperienze, cioè
la capacità di valutazione, la ragionevolezza capace di fare scelte positive
di vita. La situazione degli adolescenti contemporanei è certamente appesantita
dal fatto che nel cinquanta per cento dei casi la famiglia purtroppo non
esiste o è in crisi. Questo fatto aggrava indubbiamente la condizione degli
adolescenti del nostro tempo, anche perché dove la famiglia esiste non è
sempre solida e sicura. Molte famiglie offrono cattivi esempi di violenza,
di egoismo, di mancanza di rispetto al loro interno. Altre si accontentano
di dare cose, tante cose ai loro figli, i quali invece hanno bisogno di essere
aiutati a trovare il senso delle cose attraverso l’affetto, il buon esempio
e le esperienze positive.
7.4 La prassi della stupidità
Da tempo si constata il diffondersi dell’involgarimento del gusto, dell’imbarbarimento
dei modi, della maleducazione e trascuratezza nel comportamento, della
mediocrità e rozzezza, quella che R. Musil chiama la “prassi della stupidità”.
Viviamo in un clima di disattenzione e leggerezza che deteriora e compromette
la qualità della vita personale e collettiva.
C’è una decadenza ed un involgarimento che tutto segna, rovina, distrugge
e sembra render vano ogni richiamo e sforzo educativo.
Il degrado è così diffuso che sembra di non potervi più opporre argine.
Pensate, guardando alle nostre scuole, ma pure alle strade e piazze, alle
cartacce lasciate in giro ovunque, ai mozziconi di sigarette gettati per
terra invece che nei posacenere; agli sputi rozzi e villani con cui si insudiciano
i pavimenti, al degrado dei libri e degli ambienti di scuola, alle insolenze
scritte sui banchi e persino sui muri. C’è una crisi di senso di responsabilità,
che favorisce solo la diffusione della stupidità.
Nelle mie letture estive mi sono imbattuto in queste parole del teologo luterano,
impiccato dai nazisti il 9 aprile 1945, Dietrich Bonhoeffer: “Per il bene
la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è
possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile
opporsi con la forza…, ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non
si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non
servono a niente… Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti
dello stupido che del malvagio, perché lo stupido, a differenza del malvagio,
si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso,
perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco… La stupidità rappresenta
certamente un difetto che interessa non l’intelletto ma l’umanità di una
persona… L’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia
così ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli
si presentano… La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della
sapienza (Salmo 111, 10), dice che la liberazione interiore dell’uomo
alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità”.
7.5 Occorre proporre nuovi rimedi
Mentre gli addetti ai lavori discutono tra centri chiusi e strutture aperte,
tra foyer e garni, tra riformatorio preventivo, punitivo, rieducativo,
un numero crescente di adolescenti si scatena contro persone e cose in
una escalation di esibizioni quanto mai preoccupanti.
Ho già avuto modo di domandarmi se fosse normale ricorrere al penitenziario
per rispondere ai bisogni di un degrado sempre più preoccupante e ai problemi
nuovi che pongono certi adolescenti ingestibili e violenti al punto da mettere
a repentaglio l’incolumità altrui.
C’è un disagio nuovo, profondo, che va crescendo, quando dopo il fallimento
della famiglia, si assiste passivi al fallimento di strutture sociali non
più adeguate.
Quando il disagio raggiunge livelli ingestibili nei foyers o negli istituti
aperti, tanto che innestano una sindrome di rifiuto e di provocazione, perché
peggio mi comporto prima vengo messo fuori, occorre predisporre strumenti
più adeguati e sicuri.
Se l’Istituto minorile di Torricella negli anni settanta ha dimostrato di
non rispondere ai bisogni e ai problemi di allora, oggi occorre ripensare
la situazione di fronte al nuovo disagio e alla inadeguatezza dei servizi
sociali esistenti. Dopo il fallimento della famiglia, stiamo assistendo anche
al fallimento di una pedagogia debole e non adeguata, che invece di recuperare
i giovani disadattati, favorisce il formarsi di personalità distorte e violente,
che pensano di poter ottenere affermazione e considerazione più sanno esibirsi
in comportamenti negativi.
Invece di fare chiudere, non so per quali incomprensioni, gelosie personali,
incompatibilità ideologiche, determinati centri, c’è da ripensare il problema,
occorre provvedere perché non sia il carcere a dover sostituire servizi sociali
che pur esistono in altri Cantoni.
Ho letto un pensiero di Christian Babin, un autore francese, poeta e filosofo,
che mi ha colpito. “Ho trovato Dio nelle pozzanghere d’acqua, nel profumo
del caprifoglio, nella purezza di certi libri e persino in certi atei. Non
l’ho mai trovato presso coloro il cui mestiere consiste nel parlarne”.
Dove troveremo l’uomo, la pedagogia giusta per rispondere ai problemi nuovi
che ci pongono certi adolescenti? Non certo in chi si limita a farne chiacchiere,
chiacchiere vuote, chiacchiere accademiche per non dire da salotto. L’uomo
non è lì, non nelle parole vuote di chi si limita a discuterne, ma nelle
mani che si prendono cura, magari a tempo pieno, in strutture anche chiuse
se è necessario, ma dove ci sia una umanità forte, profilata, che aiuta a
condividere valori, oltre i modelli già percorsi.
Come restituire dignità a questi ragazzi difficili? Forse facendo loro capire
che “sacrificare” non è uccidere o soffocare, ma “fare sacre” le cose e la
vita, farle abitare da Dio.
Sì, forse, questi ragazzi in fondo mancano proprio di un Dio che vuole sia
restituita dignità a ognuno dei suoi figli.
La bellezza salverà il mondo
L’arcivescovo emerito di Milano, card. Carlo Maria Martini, per l’anno 2000
aveva indirizzato una lettera pastorale alla sua Chiesa, dal titolo significativo:
“Quale bellezza salverà il mondo?”.
Viviamo infatti in un tempo in cui la vera bellezza è negata ovunque, perché
il male sembra trionfare, dovunque la violenza e l’odio prendono il posto
dell’amore e la sopraffazione quello della giustizia.
E dove la bellezza è negata non c’è più gioia, la mediocrità avanza, il calcolo
egoistico prende il posto della generosità, l’abitudine ripetitiva e vuota
sostituisce la fedeltà vissuta come continua novità del cuore e della vita.
In un mondo consumistico, in cui sembra che sia possibile comprare tutto
col denaro e ci si lascia illudere dall’effimero, invece di decidersi per
ciò che vale e costa sacrificio, vogliamo riscoprire e lasciarci entusiasmare
dal gusto per la bellezza vera.
La bellezza è frutto di ricchezza interiore
La bellezza non è estetismo,
esteriorità superficiale, capricciosa e bizzarra, infatuazione leggera di
mode. La bellezza vera non è mai effimera, ma duratura.
Non è plagio, copia, improvvisazione, ma frutto di un animo ricco dentro.
Non c’è bellezza dove non c’è interiorità.
Nella nostra società delle immagini, dei telefonini, dei videogame, dei computer,
che tutto esteriorizza, c’è un esproprio di interiorità.
Non sappiamo cosa dire, non abbiamo niente da dire, ma abbiamo il telefonino
per dirlo e ci accontentiamo di banalità, di messaggi funzionali, utilitaristici,
insulsi, vuoti, commerciali.
Senza vita interiore, senza capacità critica, senza pensiero autonomo, senza
ricchezza dentro non può nascere niente di bello, perché il bello non è riducibile
a merce, a cosa, a commercio. Occorre coltivare l’interiorità, che è il soffio
dello Spirito, immagine del Dio Creatore in noi. Ma il coltivare l’interiorità
esige silenzio, ascolto, capacità di lettura, di contemplazione, di assimilazione
profonda, di preghiera.
Il massimo dell’interiorità è nutrito ed espresso dalla preghiera, che ci
mette in comunicazione col mistero dell’interiorità totale, assoluta, che
è Dio.
Non ci sarà mai bellezza sul vuoto, sulle cose effimere, sugli egoismi gretti
della vita e delle persone rese merce.
La bellezza è conseguenza di una
formazione integrale
Non ci sarà mai bellezza senza la preoccupazione di una formazione
integrale. La bellezza non viene solo dall’intelligenza, ma dal cuore,
dalla fantasia, dall’intensità del sentimento, dall’abilità manuale.
La bellezza è frutto dell’armonia di un insieme. Menti eccelse possono essere
aride ed improduttive quanto al bello, se non si preoccupano di formare il
cuore.
Il profeta Ezechiele affermava: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di
voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore
di carne” (Ezechiele 36, 26).
La bellezza è manifestazione di un cuore nuovo, di un cuore che si rinnova,
che non conosce l’aridità e la durezza della pietra.
Famiglia, comunità cristiana, scuola e società non devono proporsi di offrire
solo nozioni per la testa, ma devono essere preoccupate di questa formazione
integrale, che riguarda tutta la persona che è volta a costruire un cuore
nuovo.
I giovani formano continuamente il loro cuore leggendo giornali e riviste,
guardando film e spettacoli televisivi, navigando in internet, tutto quello
che vedono e leggono plasma il loro cuore. Formano il loro cuore stabilendo
rapporti corretti con gli altri, con i genitori, i docenti, e i compagni.
Si interroghino se si sforzano di avere relazioni corrette, educate, rispettose?
O si plasmano con violenza e stupidità, procurandosi un cuore di pietra?
Occorre disciplina per formare il nostro cuore: essere pronti al sacrificio,
disposti alla generosità, capaci di rispettare la puntualità, coltivare il
silenzio, saper rimanere sui libri sforzandosi di capire, mentre invece vorremmo
andare altrove, lasciarci prendere dalle distrazioni e dalle evasioni.
Per formare un cuore nuovo occorre prestare attenzione al linguaggio, dimostrare
una grande sensibilità verso le parole che ci rivolgiamo a vicenda.
Le parole che pronunciamo sono spesso ricordate per anni, tenute vive nella
memoria che le ripensa e le ricorda. Una parola può uccidere. Le nostre parole
hanno il potere di costruirci o di distruggerci a vicenda.
Per formare un cuore sensibile occorre possedere il senso del proprio limite.
Il cuore di carne è umile, mentre il cuore di pietra è orgoglioso e sprezzante.
Non produrremo bellezza e armonia di forme e colori diversi, se non sapremo
accettarci, rispettarci, costruire una comunità basata sul colloquio, sulla
fiducia, parlandoci e ascoltandoci a vicenda: “In dulcedine societatis quaerens
veritatem” diceva sant’Alberto Magno. Essere una società che ricerca la verità
nella dolcezza.
Il piacere di cercare insieme la verità è fonte di bellezza
Per questo è fondamentale imparare a vivere con gli altri, con quelli
che sono diversi, che pensano in modo diverso, vivono in modo diverso; hanno
un senso diverso dell’umorismo.
A questo riguardo la scuola in particolare, ma anche la comunità cristiana,
deve essere una grande occasione per stabilire un rapporto di amicizia, deve
essere un invito ad insegnare e a studiare entrando in amicizia reciproca.
Non si tratta solo di apprendere nozioni e di imbottire cervelli, ma di apprendere
l’arte dell’amicizia, il vivere assieme in amicizia, che si costruisce per
l’atteggiamento cordiale dei docenti verso gli allievi, ma pure degli allievi
verso i docenti. Occorre saper entrare in dialogo, avere attenzione alla
fragilità e vulnerabilità dell’altro, essere convinti che la persona è superiore
alla materia, l’uomo viene prima delle note.
Con queste premesse avremo le condizioni per realizzare assieme nella scuola
quella bellezza, che favorisce uno studio intelligente e aperto.
E le comunità ecclesiali, le associazioni, i movimenti si interroghino su
quali contributi possono dare a questa ricerca della verità nella dolcezza.